12 Maggio 2017
Il tour è iniziato stasera a Vancouver con la band che ha suonato, per la prima volta, tutto “The Joshua Tree”.
Giunge sul palco con “Sunday Bloody Sunday” e chiude il concerto con un nuovo inedito brano – “The Little Things That You Give Away” – ma il cuore dello show sono state le undici canzoni da “The Joshua Tree”, trent’anni dopo da quando il gruppo lo portò in tour per la prima volta.
Sono passati quasi due anni esatti dal primo concerto dell‘iNNOCENCE + eXPERIENCE Tour alla Rodgers Arena, [stavolta] lo stadio a essa vicino ha ospitato il concerto di debutto del The Joshua Tree Tour 2017. Esso si snoderà in soli 33 concerti con 1,7 milioni di spettatori, tra oggi e il 1° agosto.
Così il primo ad uscire è stato Larry Mullen, poi The Edge, Bono e Adam Clayton, prendendo le loro posizioni sul piccolo stage che accoglierà le performance delle prime cinque canzoni.
“Eccoci di nuovo”, ha detto Bono, “cercando di trovare qualcosa di magico in questo vero tempio.”
Nel corso delle due ore è successo esattamente questo. Quello che abbiamo visto è stato qualcosa di intrinsecamente diverso dallo spettacolo del 2015 – uno spettacolo quello dai toni e dall’aspetto a volte più sobri – ma che era altrettando dinamico e coinvolgente.
Questo palco, invece, è caratterizzato dall’ombra argentea del Joshua Tree che fuoriesce dal maxischermo principale: si tratta del più grande schermo LED, con la più alta risoluzione, mai usato in un tour. Nell’ultima “visione” del direttore creativo Willie Williams lo schermo, largo 60 metri e alto 13, attende di prendere vita mentre, sul B-Stage, si assiste alle performance di due caposaldi degli U2, “New Year’s Day” e una versione particolarmente catartica di “Pride (In The Name Of Love)”. In questa configurazione molto semplice, la potenza viscerale – nuda e cruda – dei quattro musicisti in simbiosi era palpabile.
Poi, sul palco principale, irrompe un’esplosione di colore come se l’albero avesse raggiunto la maturità in pochi secondi. Con grande entusiasmo del pubblico è apparsa la prima “visual” elaborata da Anton Corbijn – da anni collaboratore visivo degli U2 – rinnovando in maniera incredibile l’immagine del Joshua Tree, che, apparendo in una definizione altissima da togliere il fiato, ha accompagnato l’esibizione di “Where The Streets Have No Name”.
Le tracce d’apertura dell’album vengono messe in scena come su disco, come un’istantanea delle hit degli U2 con “I Still Haven’t Found What I’m Looking For” e “With Or Without You” seguite da una furiosa “Bullet The Blue Sky”. Uno dei punti salienti della serata è giunto con la prima esecuzione in assoluto di “Red Hill Mining Town” nella nuova versione remixata da Steve Lillywhite – con l’aggiunta della brass band – versione che presto troverete nella riedizione deluxe dell’album.
The Edge, creativo sia alla chitarra che alla tastiera, eccelle in “One Tree Hill” che è stata seguita da una scoperta ispiratrice: un video molto originale risalente al 1958 ed estrapolato dalla serie tv western Trackdown nella quale un artista di strada esclama di poter salvare il mondo costruendo un muro. Per una coincidenza incredibile il suo nome è Walter Trump.
Il finale, nel set post-Joshua, è apparsa l’ottimista “Beautiful Day” e un’elegante versione di “Ultraviolet (Light My Way)”, quest’ultima dedicata alle donne innovative e all’avanguardia di tutte le estrazioni sociali. Nella visual appare un appello che le omaggia tutte da Rosa Parks alle Pussy Riot, da Rosetta Tharpe a Grace Jones. Il brano appare come un ulteriore sostegno alla campagna “Poverty is Sexist” della ONE.
Sulla coda di “One” Bono chiede supporto al pubblico in un coro sin troppo appropriato ai nostri tempi,
“Il potere delle persone è molto più forte delle persone al potere.”
“Miss Sarajevo” ha avuto un insolito accompagnamento visivo, ugualmente doloroso, con un filmato commissionato dall’artista francese J.R. girato nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, dove 80.000 siriani sono costretti a vivere temporaneamente.
Il colpaccio finale è stata la nuova canzone “The Little Thing That Give You Away”, un’anteprima riflessiva e promettente sulla prossima avventura in studio della band.
“A volte la fine non è in arrivo / La fine è qui”, canta Bono.
Purtroppo questo è vero, ma è stata un’occasione esaltante che ha eloquentemente unito il passato ed il futuro degli U2.
Traduzione a cura di GabrielFoto via U2.com
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