“Boy”: crescere in bianco e nero
Gli album d’esordio delle band mi hanno sempre incuriosita molto; sento la nascita del primo album come un momento chiave fatto di ansia, gioia, emozione, la realizzazione di un sogno, emozioni vorticose, ingestibili a volte. Il momento nel quale si prende coscienza che ci si sta andando a tuffare in un mare in cui nuotano e hanno nuotato nomi come quelli di Beatles, Pink Floyd, Queen, Rolling Stones, per citarne qualcuno, e tu hai per le mani solo la tua prima pietra grezza.
Ma gli U2, nel loro primo lavoro, hanno creato qualcosa che forse è riuscito ad andare anche oltre, perché tuttora Boy è un album attuale, intenso, moderno e, per essere composto e suonato da ventenni, direi sorprendente.
Lo ascolto in questo momento, mentre scrivo i miei pensieri; quarant’anni sono un anniversario importante. Mi viene in mente che lo conosco dal 1990, da trent’anni. Sono trent’anni che Boy mi fa compagnia, sono anche un pò cresciuta insieme a lui e anche oggi, che ormai sono adulta, ho la sensazione di tornare ragazzina quando lo ascolto.
L’inizio scintillante di I Will Follow, una canzone le cui parole sono piene di dolore, ma circondate da suoni vivaci che incarnano un’antitesi che tornerà nell’album, mi infonde un messaggio di speranza: non tutto della giovinezza svanisce, perché possiamo rincorrerla, aggrapparci ad essa, ricordarla.
Boy è diretto, impulsivo, immaturo e anche forse un pò grezzo ma è proprio questo il suo punto di forza: la spontaneità. È fatto di parti
vocali incisive, cori contagiosi, ritmiche incalzanti, chitarre minimali ed evocative e di testi fin troppo maturi; è un pozzo di emotività, racchiusa nei versi e in paesaggi sonori che coniugano suggestioni dark e new wave a una sensibilità quasi inedita nella scena dell’epoca.
Twilight descrive il momento del passaggio tra l’essere bambino e l’essere adulto, attraverso l’esperienza traumatica della fase dell’adolescenza. “In the shadow, boy meets man”, considera Bono, rivelando l’angoscia di un passaggio che arriva nell’ombra di un crepuscolo pieno di dubbi e timori.
An Cat Dubh, suadente e oscura nei suoni, raccontata più che cantata, allude a un primo approccio alla sessualità e incarna la prima parte di un medley che sfocia nella dolce Into The Heart, una piccola intensa perla in cui il suono si fa più introspettivo, un episodio dal quale sgorga tutto il bisogno viscerale di restare ancora un pò bambini, trovandosi al cospetto dello smarrimento che si prova nel passaggio al mondo adulto. Bono canta il desiderio di aspettare ancora un pò per crescere, per continuare a sognare in modo innocente, puro; l’affacciarsi al mondo adulto sconvolge palesemente il giovane Paul Hewson che, lungo tutto il disco (e tutta la sua carriera), non esita mai a cantarci (nel tentativo impossibile di esorcizzarlo) il dolore che lo ha travolto nel perdere la madre Iris a 14 anni.
Con Out Of Control (verosimilmente uno degli episodi più felici dell’intera carriera degli U2) si esce – musicalmente – dalla fase introspettiva e si torna agli inni da stadio. Con lei riaffiorano in me i ricordi delle mille crisi esistenziali dell’adolescenza, il traumatico passaggio da bambina a ragazza; abbasso lo sguardo ripensando a come spesso, per essere troppi giovani (come nel mio caso), questo passaggio avvenga in totale solitudine.
Anche io avrei voluto aggrapparmi con forza a quell’innocenza che sento suonare durante lo scorrere delle note di Boy, quando ero emozionata, pura, anche se angosciata allo stesso tempo. Quando anche io ero fuori controllo.
Stories For Boys è un ulteriore punto di vista su come il modo di percepire la realtà circostante possa mutare da un momento all’altro, durante la crescita. A volte ancora si crede alle favole, altre non ci si lascia andare.
The Ocean porta quasi a fluttuare realmente tra le onde morbide di un oceano. Il mare che raccontano i giovani U2 è quello romantico e inquietante del nord Europa, immaginando Bono ventenne sulla riva, in una fotografia in bianco e nero.
Anche A Day Without Me aggredisce con un sound vitale, ma si tratta di un altro episodio nel quale alla vivacità della parte sonora non corrisponde un tema sereno, dal punto di vista lirico. Il brano infatti (primo singolo estratto dall’album) fu ispirato a Bono dal suicidio di Ian Curtis, che si tolse la vita pochi mesi prima la pubblicazione di Boy. La band di Love Will Tear Us Apart è da sempre riconosciuta dagli stessi U2 come una delle maggiori influenze stilistiche sui loro primi lavori in studio.
Another Time, Another Place tratta delle difficoltà di una coppia, sicuramente di giovani ragazzi, a isolarsi dal resto del mondo per avere un pò di privacy; è un’altra canzone malinconica con qualche tratto rabbioso in alcuni passaggi, come a voler spiegare quella sensazione di frustrazione giovanile.
È poi il momento di The Electric Co., uno dei passaggi che mi emoziona di più, per l’argomento agghiacciante che tratta (l’elettroshock), ma anche (se non soprattutto) per la frenetica chitarra di The Edge che in questo disco inizia a imporre il suo personalissimo stile nell’uso dell’unità echo, e che in questo brano dimostra come la sua tecnica sia in grado di portare la chitarra in territori inesplorati e incredibilmente espressivi. L’esecuzione di questo brano dal vivo rappresentava, nei primi anni di carriera della band, il momento nel quale lo stesso Bono incarnava la follia della pratica dello shock elettrico, più che del paziente a essa sottoposta. Il frontman danzava istericamente, quasi posseduto e si arrampicava spesso sulle impalcature di scena, mettendo a repentaglio la sicurezza sua e del pubblico. Gesti che arrivarono quasi a causare il suo allontanamento da gruppo, ma che restano indelebili nella memoria dei suoi fans, che hanno iniziato ad amare una band come gli U2 che, da subito, ha saputo creare un legame unico con il proprio pubblico.
L’album si chiude con Shadows And Tall Trees, il ritmo rallenta, la voce tesse una melodia gentile e la chitarra diventa acustica in una ballata che sembra quasi sancire la fine dell’innocenza con una sorta di rassegnazione, anche musicale.
Amo Boy. Sono solamente miei pensieri, mie emozioni molto personali; questo scritto non vuole essere una recensione dell’album, non ne ho le capacità. È solo il racconto della forte emozione che sento quando lo ascolto, ancora dopo tanti anni; in fin dei conti non mi fa dimenticare che la purezza della gioventù, nella mente e nel cuore, non mi abbandonerà mai finché con il pensiero (e con le note) è possibile tornare indietro dove tutto è iniziato.
Foto in evidenza © Scott Weiner [U2 Philadelphia 1980]
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