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Gli U2 (soprav)vivono con dolore e grazia

Inserito da on giugno 7 – 16:11 | 267 visite

  
“Confortami”

“CONFORTAMI”

“CONFORTAMI! CONFORTAMI!! CONFORTAMI!!!”
Bono è in piedi sul bordo del palco che corre lungo la The Forum arena di Inglewood (California) urlando, a pieni polmoni, quella parola davanti una folla di 17.000 persone: ‘confortare’.

La 55enne rockstar grida a Dio, per Dio, una preghiera che è diventata una litania fin troppo familiare per il cuore infranto della ‘famiglia U2’ negli ultimi mesi. Meno di 24 ore prima, nelle prime ore del 27 maggio, il tour manager di lunga data della band, e punto fermo nella comunità U2, Dennis Sheehan, è morto per un attacco cardiaco nella sua camera d’albergo a Los Angeles.

Non tutte le band potrebbero prendere i loro fans per le mani e dire, in sostanza, ‘camminate con noi attraverso la valle oscura della morte’. “Noi siamo uno, ma non siamo la stessa persona; dobbiamo ci sosteniamo a vicenda…’

Ma fin dalla sua nascita nel 1976, la band – formata da quattro ragazzi adolescenti provenienti dal disagiato lato nord dublinese – hanno manifestato uno stato d’animo: condividere i loro momenti più vulnerabili e le loro battaglie con chiunque volesse ascoltare.

E il dolore ha visitato la ‘famiglia U2′ fin troppo spesso in questo periodo.

Bono è scampato ad un incidente in bicicletta al Central Park di New York lo scorso Novembre salvandosi la vita (grazie a Dio per i caschi), e non potrà più suonare nuovamente la chitarra a causa del danno inflittosi al braccio sinistro durante lo schianto. E’ stata una sudata riabilitazione fisica che ha portato il cantante ad essere pronto per il ritorno sul palco in occasione del lancio dell”Innocence + Experience Tour”, in Canada, il 14 maggio scorso; poi, pochi giorni prima dell’inizio del Tour, il padre del batterista Larry Mullen è morto all’età di 92 anni. Mullen si è esibito nel primo concerto a Vancouver dopo aver deposto le spoglie di suo padre solo il giorno prima a Dublino.

A fine febbraio, gli U2 hanno perso l’uomo che chiamavano la loro “Stella Polare”, il reverendo Jack Heaslip, un sacerdote anglicano che li conosceva da quando frequentavano il liceo (era un consulente scolastico della loro scuola, la Mount Temple), e che, per 20 anni, ha viaggiato per il mondo al loro fianco come “consigliere spirituale” e come cappellano della “piccola città” tecnica/artistica formata dalla crew di supporto, che accompagna la band nei tour per mesi (a volte anni) di fila.

Il Reverendo Heaslip, conosciuto semplicemente come “Padre Jack”, è stata [una figura] indiscreta anche se fu un sostenitore onnipresente. Era famoso per percorrere il perimetro di ogni luogo della performance, pregando per la band – proprio così! – e per la loro crew, ma anche per il pubblico – i fans – che arrivavano a migliaia per ascoltare il concerto degli U2. Come Dennis Sheehan, “Padre Jack” sostenne tutte le performance da dietro le quinte – nel regno dello Spirito. La sua scomparsa è stato un duro colpo.

“La famiglia allargata è molto importante per noi, e ci sosteniamo l’un l’altro”, ha detto Bono rivolgendosi al pubblico la sera della morte del signor Dennis Sheehan a Los Angeles. “Un sacco di canzoni degli U2, nel corso degli anni, sono state scritte per riempire un vuoto, un’assenza, un buco nel cuore lasciato da una persona cara”, ha continuato Bono prima di lasciarsi in Iris (Hold Me Close), un brano straziante, personale, che parla di sua madre, morta quando lui aveva quattordici anni.

Bono, il chitarrista The Edge, il batterista Larry Mullen Jr (che, come Bono, perse sua madre in giovane età) e il bassista Adam Clayton sono cresciuti insieme: trovando le loro compagne di vita, crescendo i [loro] bambini, forgiando un legame di sacra amicizia e di creativa collaborazione che dovunque è raro [da trovare] – e probabilmente è unico negli annali del rock’n’roll.

Molte persone coinvolte nell’aiutare gli U2 a fare musica sono stati con loro per decenni. La loro è una tribù selvaggiamente leale. Una volta che ci sei dentro, sei dentro, un pò come la salvezza per grazia suppongo.

ONDE DI RIMPIANTO, ONDE DI GIOIA

Chiunque abbia ascoltato, anche casualmente, gli U2 sa che il mondo spirituale è il timone della band. Sono stato fan dall’età di dodici anni, avendo la prima “illuminazione” mentre stavo ascoltando, per la prima volta, la canzone Gloria nel 1983. Conobbi la band dopo aver viaggiato – come edotorialista religioso – con Bono nel 2002 per il suo viaggio umanitario in autobus (il tour di DATA “Heart of America”) attraverso il Midwest americano esortando i cristiani-evangelici (e altri) a prendere provvedimenti per la (successiva) pandemia di AIDS nell’Africa sub-Sahariana.

Abbiamo avuto molte conversazioni sulla nostra condivisa fede cristiana nel corso degli anni, sia pubbliche che private.

Sin dai primi giorni, gli U2, hanno cantato della lotta con gli angeli, del magnifico e del mistico, di Dio Padre, del Divino Femminile (che si muove in modi misteriosi). Hanno confessato i loro peccati, esternato i loro dubbi, celebrato la grazia sorprendente e pianto le loro perdite. La band (e in particolare il suo vivace cantante, Bono) porta spesso la sua predilizione spirituale sulle copertine [degli album] ricevendo critiche da ogni fronte nel corso degli anni, per di più a causa dell’accusa di apparire o troppo rock per essere dei veri credenti o troppo religiosi per essere dei veri rocker, o entrambe le cose.

Eppure la lealtà e l’amore che i membri degli U2 hanno per sé stessi, e nei confronti della loro estesa “tribù”, si riflette spesso sui loro fans. Sia che quest’ultimi credano che l’ultimo album degno di nota che la band abbia fatto sia molto prima del punto di svolta del 1991 con Achtung Baby o che qualsiasi cosa creino i quattro ragazzi di Dublino sia un capolavoro, i fans degli U2 sono legati a loro.

I testi della band, spesso uniti da un linguaggio biblico e figurato, sono stati talmente influenti su una certa fetta della comunità cristiana che una liturgia è stata chiamata “u2charist”, la quale – incorporando la musica degli U2 nei culti ecclesiastici tradizionali – ha guadagnato in popolarità nei primi anni del 2000.

Di sicuro c’è una relazione tra un artista e il suo pubblico, ma a volte, quel rapporto è più del tipo artista-incontra-spettatore o un’operazione commerciale produttore-consumatore. Ma qualche volta – soprattutto quando l’artista e lo spettatore sono nello stesso spazio fisico – avviene qualcosa di trascendente.

Direi che questo, spesso, è il caso di quando gli U2 sono in tour, quando suonano (e pregano) dal vivo con, e per, i loro fans. Qualunque cosa traspaia in quei momenti dal vivo, supera addirittura la cinestetica: uno scambio di energia tra corpi in una stanza, in cui, la musica, viene eseguita da musicisti con strumenti reali.

C’è un vero senso di manovra metafisica in mezzo alla folla quando – come hanno descritto, in varie occasioni, i membri degli U2 – “lo Spirito è nella stanza”.

HAVE YOU EVER BEEN EXPERIENCED?

Dopo aver partecipato allo spettacolo degli U2 a San Jose (California) all’inizio di questo mese, Noel Gallagher, della band Oasis, lo ha descritto come “un’esperienza psichedelica” che è stata “sconcertante”.

“Inizia come un concerto punk-rock, ma poi diventa intimo, c’è un sacco di verità sulla loro provenienza e le persone che sono”, ha detto Gallagher – noto per essere pungente. “In alcuni punti è abbastanza commovente, quando vedi il filmato di persone come la mamma di Bono o dei suoi figli, cose così, camminare lungo la strada dove sono cresciuti.”

Nel 1967, Jimi Hendrix, una delle icone del movimento psichedelico appartenemente alla cultura popolare, ha chiesto al mondo, “Are you Experienced?”. La ricerca di un’esperienza autentica è essenzialmente spirituale, una ricerca di un’autentica esperienza con il divino, trascendente, di quello che si trova al di là di questo regno fisico.

L’autenticità è una delle esigenze più profonde e sentite del nostro tempo, in particolare tra i Gen X e i Millennials. L’autenticità – come la descrive Robert W. Terry, compianto direttore del Reflective Leadership Center presso l’Istituto Humphrey degli affari pubblici dell’Università del Minnesota – è:

“Onnipresente, ci chiama ad essere fedeli a noi stessi e al mondo, reali in noi stessi e verso il mondo, quando l’autenticità si riconosce, riconosciamo le nostre debolezze, i nostri errori e i segreti nascosti, riconosciamo parti di noi stessi e della società che sono timorose e nascoste nell’ombra delle’sistenza.

L’ iNNOCENCE + eXPERIENCE Tour, giunto alla sua terza settimana, mormora d’autenticità. Le performance di due ore degli U2, in locali non più grandi di 20mila posti, riescono ad essere contemporaneamente intimi ed espansivi. Il pubblico è invitato dentro la spirituale, profonda e personale storia degli U2 – maturata nella violenza settaria dell’Irlanda degli anni ’70, dove la religione era fonte di divisione come la dinamite, nello smarrimento che hanno sofferto come popolo e come ragazzi, nella paura e nel desiderio, nella confusione e nella sfida che un tale ambiente ha favorito.

La band si arrampica letteralmente nel loro passato attraverso un gigantesco schermo multimediale all’avanguardia che loro chiamano “the divide”, che corre lungo all’arena sullo stretto palco centrale che permette ai fans di avere i musicisti fisicamente vicini. Questi ultimi suonano dentro lo schermo mentre le immagini del loro passato – inclusi dei disegni della casa d’infanzia di Bono nella Cedarwood Road a Dublino, e dei filmini amatoriali di sua madre – sono proiettati sulla sua superficie.

E’ difficile da descrivere, bisogna vederlo in prima persona per poter capire completamente, ma basti dire che la band sta portando i loro fans dentro la musica in un modo che non ho mai visto.

Autobombe esplodono e centinaia di pagine dall'”Inferno” di Dante, da “Alice nel paese delle meraviglie” e da “The Message” – la paratraduzione della Bibbia di Eugene Peterson – cadono dal tetto. Ho preso una pagina con un passaggio del Salmo 89, che diceva in parte:

“Il tuo amore, Dio, è la mia canzone, e io la canto!

Racconterò a tutti in eterno quando tu sia leale.

Non potrò mai smettere di raccontare la storia del vostro amore,

come hai costruito il cosmo

e garantito tutto in esso“

Pochi versi dopo, nello stesso Salmo, l’autore, Re Davide, inveisce contro l’Onnipotente a cui dice che lo ha abbandonato, lasciandolo “un impotente, guscio in rovina…Per quanto tempo dovremmo sopportare tutto ciò Signore?”

HOW LONG TO SING THIS SONG?

Ho visto suonare gli U2 dal vivo due dozzine di volte negli ultimi quindici anni, o giù di lì, e sempre di più mi ritrovo a guardare la folla quasi quando la band. Lo spettacolo successivo alla morte di Dennis Sheehan è stato particolarmente puro, un’esperienza potente. Bono ha invitato il pubblico a sollevare le persone, che hanno bisogno di sostegno, in alto (presumibilmente a Dio), quelle persone tra noi che sono in lutto, distrutte, magari un pò di più che smarrite. Egli ha esortato la folla a “lasciarlo andare” – qualunque cosa “esso” sia. Esattamente non stava predicando. Era più collaborativo di ciò: stava dando al pubblico lo spazio e la libertà, forse, di “parlare di cosa avvertiamo, e non di quello che dovremmo dire” per prendere in prestito un verso da “Re Lear” che potrebbe essere scritta dal Salmista in persona.

La band ha suonato uno dei loro inni spirituali, Bad, con la sua chiamata e risposta:

“If I could, through myself, set your spirit free

I’d lead your heart away, see you break, break away

Into the light and to the day.

To let it go and so to find away.

To let it go and so find away.

I’m wide awake.

I’m wide awake, wide awake.

I’m not sleeping.”

Gli encores, quella sera, sono stati un tributo al signor Sheehan: un’esposizione di foto e video, del loro capitano perduto, sugli enormi schermi che lui ha aiutato ad immaginare e creare. Il “Forum” si è trasformato in un’enorme veglia funebre irlandese mentre la band eseguiva, per la prima volta in questo tour, 40 – la loro immortale chiusura.

Bono ha raccontato la storia di una delle prime performance live del brano – tratto, quest’ultimo, dalle parole dello stesso Salmo 40 – nell’anfiteatro di Red Rocks (Colorado), molti anni fa. Quella notte il signor Sheehan aveva cercato di invitare il pubblico ad unirsi al ritornello della canzone, “How long to sing this song?” cantando lui stesso in un microfono – un unico, puro, urlo tenorile nello spazio.

In questa notte, più di 25 anni dopo, il pubblico, ben sveglio, intriso di dolore, di grazia e notevolmente grato, ha cantato ripetutamente il ritornello del signor Sheehan, “How long to sing this song?” – e hanno continuato anche a spettacolo concluso con le luci dell’arena accese – mentre i membri della band sono usciti, uno alla volta, dal palco.

Lentamente, mentre uscivamo nelle aggressive luci del parcheggio del Forum, un uomo [a me] vicino ha espresso ciò che molti di noi avvertivano: “E’ stato meglio della chiesa.”

FONTE: RELIGIONDISPATCHES.ORG | TRADUZIONE: DANIELA MATTEI | REVISIONE: GABRIEL CILLEPI

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