U2: una grande famiglia
“Centocinquantamila a un concerto rock di una sola band, sia pure gli U2, non era mai successo..non era mai successo a Reggio Emilia, che ne è rimasta compostamente congestionata in tutte le sue attività..”
Così inizia l’articolo ritagliato dalla pagina del quotidiano della mia città, e relativo a quel mio primo concerto degli U2 nel lontano settembre del 1997. Non è certo una pagina di giornale che mi farà ricordare quell’evento; così carico di emozioni e di adrenalina da rimanere impresso in modo indelebile nella memoria per sempre.
Erano ancora i tempi in cui i biglietti per i concerti si acquistavano nei negozi di dischi; e più l’evento era importante e più l’attesa per l’inizio della prevendita era carico di ansia e di timore di non riuscire ad arrivare prima degli “altri”; di quelli che avevano la mia stessa passione per gli U2. Sapevo che non avrei potuto perdere quel concerto; perché secondo certi calcoli, gli U2 non avrebbero intrapreso un nuovo tour se non a distanza di almeno quattro anni, e per me rappresentava un’attesa interminabile. “Chissà dove mi avrebbe portata la vita negli anni a venire”, mi chiedevo; rimanendo sempre più convinta che ci sarei stata anche io tra quei centocinquantamila che avrebbero affollato il campo volo di Reggio. Ed è andata esattamente così. Il 20 settembre 1997 è stato non solo la prima volta che ho sentito Bono cantare dal vivo, ma soprattutto la prima volta che ho capito quanto la musica sia capace di unire e “riunire” le persone; qualunque siano le origini, la storia o la professione.
Quel mattino il treno partiva dalla stazione di Porta Nuova carico di ragazzi la cui meta era il Pop Mart tour, la nuova frontiera ipertecnolgica che gli U2 stavano per presentare anche in Italia. Sul palco dalle dimensioni enormi, per la prima volta ho visto le icone consumistiche dei nostri tempi: un carrello del supermercato, un limone gigante ed un grosso arco giallo, simile a quello di una famosa catena di ristorazione. Mi chiedevo quale “genio”artistico accompagnasse la mia band del cuore e dove fossi capitata quel giorno. E’ bastato guardarmi intorno e sentire quell’atmosfera gioiosamente composta per dare la risposta che stavo cercando: ero tra una folla di gente forse non molto brava ad esprimere i sentimenti con le parole, ma che ritrova i suoi ideali ed il suo “credo” attraverso la musica di quattro irlandesi; una vera e propria famiglia che non ci fa mai domande indiscrete né ci impone il suo volere. Piuttosto una famiglia che ci sostiene e ci sa capire, che ci trasmette amore e fede avvolgendoci in una bolla sospesa tra i nostri sogni ed il resto del mondo.
Questo è ciò che si porta a casa alla fine di una serata come quella di Reggio Emilia: oltre alla stanchezza per il viaggio, alle ore di coda in autostrada, alla guida sotto un sole caldo, accampati la notte prima e distesi su un prato il giorno dopo; si porta con sé la consapevolezza di essere uniti tutti sotto lo sguardo vigile ed amorevole di una band che ci accoglie sempre a braccia aperte come fratelli. Bono ci ricorda che non siamo soli ed incompresi, che a volte basta credere fortemente in ciò che si vuole per essere già a metà dell’opera. Ci ricorda che non si può rimanere eternamente ragazzi e che ad un certo punto il passato va lasciato alle spalle per sperimentare suoni nuovi, senza aver timore delle critiche, perché chi ha realmente capito chi sei sarà sempre lì a fare la coda al negozio di dischi o collegato al sito internet per essere presente al prossimo concerto.
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